☰  
×
eidos

Cinema e progresso

L'altro film

Non solo arte: cinema e attivismo al Festival di Venezia

Barbara Massimilla

Anche quest’anno la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, giunta all’ottantesima edizione, nel rappresentare le inquietudini del momento storico che stiamo vivendo, si è rivelata specchio di problematiche politiche, ambientali e sociali, narrando la loro ricaduta sull’espressione artistica, in genere così sensibile e recettiva ai cambiamenti del mondo. Ricordo molti anni fa una comunicazione personale del regista Mimmo Calopresti sugli obiettivi del cinema nella nostra epoca: la necessità di aprirsi al sociale come condizione ineludibile per conquistare un orizzonte di senso. Un processo irreversibile legato ai tempi, agli accadimenti, al fare cinema non più inteso come intrattenimento, pura fiction. L’impegno di provocare emozioni risvegliando le coscienze è la mission a cui aspira oggi l’opera cinematografica. Due film recenti sul tema del migrare onorano questa intenzione, presentati a Venezia, entrambi sensibilizzano a nuove forme di umanesimo, oltre ad offrire una visione di immenso spessore artistico.

 

Green Border di Agnieszka Holland, 2023.

 

Green border di Agnieszka Holland. Il film di Holland attraversa i gelidi confini delle terre tra Bielorussia e Polonia. Luogo d’inganno e infamia, dove l’essere umano viene con sadismo scagliato come un sacco da un lato all’altro, una truffa ai danni dei migranti che Aljaksandr Lukašėnka, presidente della Bielorussia, ha orchestrato con bieco cinismo. Allo scopo di destabilizzare l’Unione Europea, in linea con Putin e il Cremlino, il dittatore si è servito di migliaia di migranti, attratti in Bielorussia con la falsa promessa di un transito verso l’Europa occidentale. Il bianco e nero nel film è una scelta etica, rende l’intensità della tragedia. I colori cupi delineano un’atmosfera di morte, l’aria grigia ha la densità del dolore privo di ogni speranza. I boschi sono pietrificati, rami secchi carichi di neve osservano impotenti scenari di disumanità senza limite. A questi paesaggi si alternano insidiose paludi antropofaghe. Numerosi protagonisti lungo questo percorso di annientamento incarnano la catastrofe di popoli che desiderano migliorare la loro vita, fuggono da guerre e povertà, trovando al posto della terra promessa la propria fine per inanizione, congelamento, a causa delle condizioni di rischio e precarietà a cui espone la crudeltà di altri esseri umani. I principali attori di questo racconto epico sono: una famiglia siriana: genitori, bambini, un nonno, attesi da un parente in Svezia; una guardia di confine con tanti dubbi sul proprio lavoro; un gruppo di attivisti e infine la figura centrale di Julia, una psicologa che decide di ‘agire’, di non restare inerte difronte alla violazione dei diritti umani perpetrata da Polonia e Bielorussia. “Asciutto e antiretorico, Green border tocca ogni punto della questione. La truffa e le violenze ai danni dei miserabili, la propaganda polacca sui migranti come armi umane mandate dal nemico, i media esclusi dalla zona di sicurezza, il coraggio, il terrore, i ravvedimenti. E lo fa senza mai essere osceno, finto, ricattatorio. E così bene che la vergogna di essere spettatori – fuori e dentro la sala – è quasi insostenibile” (Cristiano Vitali, IO donna). “Una delle ragioni per cui oggi vedete questo film – ha spiegato la regista in conferenza stampa – è, appunto, perché in passato mi sono occupata di olocausto e della Seconda guerra mondiale, di carestie e morti. E ho sempre avuto la sensazione che nazionalismo e totalitarismo si fossero solo addormentati. Che la violenza sarebbe tornata. Quando ho girato Europa Europa, il muro di Berlino era caduto e si aveva l’idea che la storia come perpetrazione del male fosse finita. Oggi, invece, il nostro futuro è molto uguale a quello del passato più brutto. Cioè a quell’Europa che – diversamente da quella tutta a favore di diritti e benessere – ha creato morte e distruzione. Green Border parla di una situazione specifica al confine bielorusso-polacco, e alle risposte alla crisi dei migranti da parte dei politici, e di conseguenza di tutte le persone coinvolte, polizia e cittadini. L’approccio è epico perché volevo descrivere la situazione da ogni lato, dando giustizia a ogni voce”. A chiusura della sua conferenza alla Mostra di Venezia, Agnieszka Holland ha letto un comunicato rilasciato dalle organizzazioni umanitarie che lavorano in Polonia, la sintesi è la seguente: “Occorre ricordare che ciò che Green border descrive continua ad avvenire. Le persone continuano a nascondersi nelle foreste, ad essere spogliate di diritti e dignità, e perdere la vita. E non perché l’Europa non possa aiutarli, perché non vuole”. La Holland è stata anche regista di serie tv (come House of cards), ma oggi vorrebbe che al cinema fosse riconosciuta una posizione di preminenza: “Se si guarda al cinema europeo, quello di fiction, è da molto tempo completamente incapace di andare a fondo nella realtà. Il suo posto lo hanno preso le serie tv, che ora stanno un po’ cedendo il passo. È dunque tempo per il cinema di riprendere la sua centralità, siamo in mezzo alla guerra in Ucraina, abbiamo una crisi umanitaria e climatica in atto, e i politici fascisti si stanno, o sono, già insediati”. La regista ha dedicato il suo film a tutti gli attivisti che si battono per i diritti umani, che lottano credendo nella speranza del cambiamento, contro gli orrori della guerra e le discriminazioni. “Credo che l’Europa sia preda della paura di perdere il nostro benessere, e che i politici usino questa paura per conquistare ancora più potere. Sicché i cittadini daranno loro l’autorità di esercitare ancora più controllo. Per esempio, i media polacchi e la popolazione, non si indignarono più di tanto quando il governo mise in piedi la zona di sicurezza impenetrabile attorno al confine. Credo sinceramente che l’Europa diventerà una specie di fortino ben difeso, anche per colpa della crisi climatica”. Il film è stato il risultato di una pianificazione approfondita, le riprese sono state molto complesse considerando che sono state realizzate lungo i confini tra Polonia e Bielorussia.

Maja Ostaszewska, l’attrice straordinaria che interpreta Julia, ha raccontato che sul set, nei boschi vicini al confine, spesso la troupe ha incontrato migranti bisognosi di aiuto. La finzione del film replicava drammaticamente la realtà sotto i loro occhi. “Occorre agire sul serio”: le parole di Maja a commento dell’esperienza. Il pregio del film è quello di essere riuscito a mantenere una narrazione poetica profondamente umana sulle note di una tragedia che non accenna a finire, che fa dei suoi martiri degli eroi apolidi, vittime di un mondo occidentale collassato sul proprio cinismo. Una delle scene più toccanti vede il bambino siriano annegare nella palude sotto lo sguardo disperato di una anziana migrante. Si resta ammutoliti come fu davanti all’immagine di Aylan il piccolo siriano annegato nell’ottobre del 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum. Julia, la psicoterapeuta, rinuncia alla pace di una vita agiata, non si arrenderà al male, la vedremo aggirarsi nei boschi alla ricerca di chi ha bisogno di essere protetto e salvato. Un invito a restare umani a non piegarsi al potere dei nazionalismi, dei muri. “A mio avviso – afferma la Holland – non ha alcun senso impegnarsi nell’arte se non si lotta per quelle voci, se non si lotta per porre domande su questioni importanti, dolorose, a volte irrisolvibili, che ci mettono di fronte a scelte drammatiche, come la situazione in atto al confine tra Polonia e Bielorussia”.

 

Io capitano di Matteo Garrone

Il film di Matteo Garrone Io capitano è frutto di una intuizione artistica geniale, come d’altronde tutta la sua filmografia, specchio di una visionarietà e sensibilità uniche. Io capitano sta al crocevia di un’arte che unisce il talento di un regista alla qualità di chi ha il dono di saper ‘dipingere’ storie. Garrone nel suo film candidato agli Oscar, vincitore del Leone d’Argento a Venezia e del premio Mastroianni conferito al giovane protagonista Seydou Sarr, capovolge la questione migratoria: scompare il punto di vista dei potenti paesi occidentali per dare piena scena alla narrazione epica di coloro che sviluppano il ‘desiderio’ di migrare, di scoprire con coraggio e entusiasmo nuovi mondi. E lo fanno partendo dal Senegal, terra di straordinari colori dalla natura forte, animata da percussioni e danze pulsanti di vita. Due giovanissimi, tra fantasia e sogno, immaginano una realtà di musica e successo in un continente altro, intravisto scintillare sui propri cellulari, con l’illusione che sia facile raggiungere altri orizzonti culturali, laggiù oltre il mare.

 

Io capitano di Matteo Garrone, 2023.

 

Dal capovolgimento di prospettiva, lo sguardo ‘africano’ di Matteo Garrone intende sottolineare la soggettività dei personaggi, come indica il titolo desidera far trionfare l’Io, in quanto istanza psichica che ha l’energia di affermarsi nel mondo, di autodeterminarsi attraverso la capacità di scegliere, di mediare anche tra parti che sono in contrasto. La fotografia di Io capitano è sublime, ha una texture materica, dall’oro del deserto al blu del cielo la sensazione visiva ti coinvolge diventando geografia dell’anima. Villaggi brulicanti di colori, volti intensamente espressivi di ogni età, danze mandaliche danno forma ai sogni, alle fantasie, ai vissuti allucinatori. Matteo Garrone da mesi sta girando l’Italia, presenta come un soldato fedele alla causa il film assieme ai due giovani attori, racconta cosa ha vissuto in questa esperienza di viaggio, nell’esplorare i sentimenti di chi lascia la terra delle origini sperando di conoscere nuovi paesi, alla ricerca di benessere, trasformazioni, creatività e bellezza. In una serata al mitico Nuovo Sacher, ospite di Nanni Moretti, ha descritto al pubblico il suo percorso, il concept che lo ha ispirato, come ha gestito la creazione della sua opera. Si scopre che non ha fatto leggere la sceneggiatura agli attori, per renderli in qualche modo co-autori. Liberi di aggiungere qualcosa di proprio all’interpretazione, poiché molti di loro hanno vissuto quelle esperienze estreme, i propri racconti durante la sceneggiatura sono stati parte viva della ricostruzione, si è cercato di non tradire il sentimento profondo delle storie che narravano. “Non credo che il film cambierà il corso delle cose – sostiene il regista – ma sicuramente aiuterà a sensibilizzare, vedere che questi individui non sono numeri, né da vivi, né da morti… ti accorgi che dietro di loro ci sta un mondo con delle famiglie, dei desideri, dei sogni, dei legami, delle amicizie. Diamo per scontato il fatto che i giovani possano viaggiare, ma per molti questa mobilità è interdetta. Circa il 70 % della popolazione africana sono giovani, è umano desiderare di andar via, loro hanno una finestra costante sull’Europa attraverso i social, per altri sappiamo che le motivazioni possono essere le guerre, i cambiamenti climatici, situazione più drammatiche, diversamente in paesi come il Senegal dove la povertà è dignitosa, ci sono giovani che si augurano di venire da noi per aiutare la famiglia. Se molti sceglieranno di non partire per non rischiare la vita, ci saranno sempre altri che vorranno andar via. Dietro questo film ci sono alcune vite, il film è ancorato a tre quattro storie che abbiamo cercato di fondere insieme, la parte finale rispecchia la storia di un ragazzo che oggi vive in Belgio, a 15 anni si è ritrovato a guidare una barca senza averlo mai fatto prima salvando 250 persone. Quando è arrivato a destinazione l’hanno recluso in carcere per sei mesi, probabilmente al giorno d’oggi la pena sarebbe aumentata a dieci anni, è stato ospitato in un centro di accoglienza per minori a Catania, adesso vive a Liegi, lavora, si è sposato, ha due figli, c’è stato un lieto fine. L’idea di Io capitano nasce dal desiderio di dare forma visiva a una parte del viaggio migratorio che non si conosce… è un viaggio epico, perché loro sono i veri portatori dell’epica contemporanea, questo è stato il motivo che ci ha spinto ad avventurarci nell’impresa.  Talvolta la realtà sembra inverosimile quando la rappresenti, c’erano dei racconti così terrificanti che sembravano paradossalmente voluti se li replicavo nel film. Ho sempre cercato di ‘giocare in sottrazione’, di non cadere nel voyeurismo riguardo alla violenza, mentre ho scelto di narrarla attraverso gli occhi di Seydou, senza mostrarla. Il primo piano del finale, il volto straordinario di Seydou, fa rivivere tutto il viaggio, tiene insieme molteplici stati d’animo, la sua interpretazione mi ripagherà per il resto della mia carriera, in quel momento dentro di me è accaduto qualcosa di irripetibile.  Un film magico dove gli attori hanno trasmesso una grande spiritualità ai personaggi”. Aggiungerei: commuovendo lo sguardo e gli animi di chi ha visto Io capitano e Green border. Non si può più non sapere, non essere a conoscenza... Serve un’etica, serve attivarsi, serve rispetto per l’essere umano da qualsiasi luogo provenga.

 


Titolo originale: Green Border

Paese di produzione: Polonia Germania Francia

Anno: 2023

Regia: Agnieszka Holland

Sceneggiatura: A. Holland, G. Lazarkiewicz-Sieczko, M. Pisuk

Fotografia: T. Namiuk

Musiche: F. Vercheval

Cast: Behi D. Atai, A. Kulesza, M. Ostaszewska, T. Wlosok, P. Stramowski

 

Titolo originale: Io Capitano

Paese di produzione: Italia, Belgio

Anno: 2023

Regia: Matteo Garrone

Sceneggiatura: M. Garrone, M. Gaudioso, M. Ceccherini, A. Tagliaferri

Fotografia: P. Carnera

Musiche: A. Farri

Cast: S. Sarr, M. Fall, I. Sawagodo, K. Sy, V. Gueye, O. Diaw, J. Lassana, M. Sani, B.Kane, B. Gnoko

 

Vedi tutto il numero





La redazione è a disposizione con gli aventi diritto con in quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani o delle foto riprodotti in questa rivista.