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Cinema e progresso

La Televisione

Narcos Messico

La narcocultura e la trasformazione dell’“eroe negativo”

Adelia Lucattini

La trilogia di “Narcos Messico” si snoda lungo le trenta puntate della Serie Tv creata e prodotta creata e prodotta da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro distribuita in streaming sulla piattaforma Netflix tra il 2018 e il 2021. Nella prima serie è descritta la costituzione e l'ascesa del Cartello di Guadalajara negli anni Ottanta, quando Miguel Ángel Félix Gallardo (Diego Luna) ne assume il comando, unificando i singoli narcotrafficanti di tutto il Messico e costituisce un’organizzazione in grado di gestire l'intero flusso di marijuana e cocaina da Messico e dalla Colombia, verso gli Stati Uniti. Si snoda poi nella seconda stagione ruota attorno all’ “Operazione Leyenda” della DEA statunitense che sancisce ufficialmente l’inizio della lotta al narcotraffico. La terza stagione è ambientata negli anni Novanta e culmina con lo smantellamento dei cartelli messicani. Tutta la serie è incentrata sulla descrizione parzialmente romanzata delle brutali vicende dei cartelli messicani del narcotraffico e sulla descrizione della narco-cultura e come questa ha rapidamente infiltrato le istituzioni e la società messicane nel corso di due decenni.

 

 

Per avvinarci alla saga di Narcos Messico è necessario quindi comprendere cosa si intende per “narco-cultura”. Una definizione è data dalla canzone dei “Los Tucanes de Tijuana”, un popolare gruppo musicale noto per le sue “narcocorridos” spesso utilizzate come colonne sonore degli episodi. I “narcocorridos” le musiche popolari che raccontano, a volte celebrandole, le gesta dei narcos. Un genere amato non solo nel Messico del Nord da dove arriva la maggior parte degli autori, ma anche da molti latini degli Stati Uniti e in minor misura in Colombia.

Gli “animali” delle canzoni si riferiscono ai tre tipi di situazioni che caratterizzano la narco-cultura: le droghe che alimentano l’economia della narco-cultura (cocaina, marijuana e eroina); lo stile di vita questa forma di vita, nella narco-cultura, si vive sempre in prossimità della morte e che cosa che bisogna fare affrontarla coraggiosamente; il vivere al di fuori del diritto che è motivato dalla soddisfazione del piacere (denaro in abbondanza, amicizie influenti, agio e consumismo estremizzati).

Solo per un breve lasso di tempo chi vive questa forma di vita marginale e sociopatica, riconosce di appartenere di una cultura distinta, estremamente primitiva e violenta in cui non tutti possono sopravvivere, successivamente l’ambizione di ascesa sociale spinge all’ intimidazione, alla violenza e alla corruzione aggressiva delle Istituzioni dello Stato. Quando il cartello dei narcotrafficanti giunge a questo livello, non è necessario essere coinvolti direttamente nel narcotraffico farne parte, si può esserne trascinati nella sua aura culturale anche quando si è uno “spettatore innocente”. Il testimone diviene complice e s’identifica con l’aggressore, quando non accade paga con la vita propria e dei familiari. La serie Narcos Messico non è solo la storia romanzata del narcotraffico e delle sue collusioni con l’economia e con la politica, è la storia romanzata delle stragi efferate e dell’uccisione di un’intera cultura, quella dei campesinos e delle popolazioni indigene ridotte in schiavitù, costretti con la forza a coltivare e raffinare droga per i narcos. In parallelo si assiste alla trasformazione delle istituzioni i cui difensori vengono brutalmente uccisi fino a fiaccarne le fila.

 

La narcocultura viene rappresentata in varie sfaccettature. Gli autori descrivono la violenza bruta con maestria e la rendono sopportabile attraverso una sceneggiatura forte e la forza delle immagini dalla curatissima fotografia. Il realismo crudo mette a disagio lo spettatore, com’è normale che sia quando ci si trova di fronte al non-pensiero e all’impensabile ma è compensato nella terza serie dal coraggio della società civile che resiste nei giornalisti della “La Voz” di Tijuana, dei religiosi che si schierano con i più deboli e con alcuni personaggi minori: Marta Venus Cáceres (Yessica Borroto), cantante cubana, amante del narcotrafficante Amado Carrillo Fuentes (José María Yazpik) che ricordano attraverso la loro arte la differenza tra il bene e il male e che non tutto è “narcocultura” e il poliziotto Victor Tapia (Luis Gerardo Méndez) che pagherà con la vita per essersi battuto per dare giustizia alle decine di adolescenti uccise “senza un perché”, donne senza diritti, senza valore, merce e “cose” da brutalizzare col sadismo che la narco-perversione induce.

Rappresentare come la  narcocultura si manifesta, implica mostrare il modo in cui le cui radici si trovano intimamente piantate nella società messicana e come la si ritrovi nell'arte, nella letteratura, nella musica, nel cinema senza che vi sia ripiegarsi in quella che può divenire una “forma di vita”  accettata, ovvero un modo di vivere normato da regole e costumi, impalcato da restrizioni e sanzioni sociali specifiche (nel narcotraffico si può solo entrare, non è mai permesso uscire come è proibito fare accordi con lo Stato) e governati da un’ethos violento e brutale.

 

Attraverso i personaggi positivi, la giornalista del quotidiano “La Voz” e voce narrante Andrea Nuñez (Luisa Rubino), che si batte per far emergere portare le ferite più profonde del Messico, il traffico di droga e la corruzione che macchia il potere politico ed economico e il suo eroico direttore Ramon Salgado (Alejandro Furth) che verrà brutalmente ucciso per aver divulgato i malaffari del cartello degli Arellano Felix.

La sottocultura “narcos” sfida il nostro pensiero o ci costringe a interrogarci sui nostri concetti più elementari che regolano la vita sociale da centinaia di anni. “El narcotraffico” non corrisponde solo business illegale e clandestino del traffico di sostanze stupefacenti mortali per chi ne fa uso, ma anche una cultura che ha pratiche e codici che regolano i comportamenti, gli stili di vita e le forme relazionali di chi vi partecipa e fa affari col cosiddetto “narco-mondo”.

La serie tv mette ben in evidenza le ragioni di un attecchimento così profondo nella narco-cultura in Messico: la iperviolenza e un paradossale meccanismo di inclusione sociale per grandi masse di diseredati senza più un’identità prima violata e poi annientata da anni di dittature, di emarginazione, di estrema povertà, di morte per inedia, di privazione dell’accesso alla scolarizzazione e allo studio. È una cultura primitiva che offre opportunità economiche ed esistenziali a coloro altrimenti emarginati per alcuni è opzione di lavoro, a caro prezzo, in un mondo in cui il lavoro è privilegio di pochi.

La “cultura” di “el narco” è cultura che ha significati diversi dalla cultura come abitualmente intesa e conosciuta ed ha tutto un altro senso. Produce cose è possibile riconoscere immediatamente come “culturali” e quindi fondamentali per la cultura, come ad esempio, arte, musica, tradizioni, costumi, regole di vita e riti della morte, ma in questo caso sono espressione del Male e di distruzione, volti alla sopraffazione e all’annientamento dell’altro non riconosciuto come individuo, come persona, autonomo, portatore di diritti.

 

La serie tv non perde mai questo punto di vista e non manca di evidenziare la brutalità la corruzione e la violenza contro la povera gente non solo contro le persone oneste anche politici e di classi sociali abbienti, ma impone una riflessione l’aspetto del “dramma shakespeariano” che compare più volte nella terza serie. Infatti, mentre alcuni capi narcotrafficanti rimangono degli efferati e brutali assassini, solo per citarne alcuni, Joaquín Guzmán “El Chapo” (Alejandro Edda), Ramón Arellano Félix (Manuel Masalva), Héctor Luis Palma Salazar (Gorka Lasaosa),  Miguel Ángel Félix Gallardo (Diego Luna), il “capo dei capi” Amado Carrillo Fuentes (José María Yazpik) definito “el señor de los cielos” per l'imponente flotta di aerei che utilizzava per trasportare la droga, nel corso della narrazione viene trasformato in un “eroe negativo” della tradizione della tragedia storica. Il personaggio romanzato si discosta dagli aspetti biografici ben descritti fino a quel momento e diviene una sorta di prototipo ideale che potrebbe indicare l’allontanamento dal Male (il narcotraffico e la narco-cultura) e una la strada possibile di “redenzione” attraverso l’amore per Marta (Yessica Borroto Perryman), in un’oasi felice, lontano dal mondo, nell’agio e nella ricchezza grazie ai narcodollari accumulati. Sarebbe risultato efficace che la seconda voce narrante della serie, l’agente della DEA (Drug Enforcement Administration) statunitense, Walt Breslin (Scoot McNairy), infaticabile avversario dei narcotrafficanti e figura centrale del racconto, si facesse portavoce con il suo modo semplice e ironicamente malinconico, del significato implicito e fuorviante di “el señor de los cielos” poiché fa riferimento alla “Nuestra Señora del Cielo” venerata in tutto il Sud America. Così come per il pubblico sarebbe risultato utile una sobria distinzione tra la sua amante Marta, cantante talentuosa, e la figura biblica descritta nei Vangeli secondo Luca e Giovanni di Marta di Maria e di Lazzaro, a cui non appare facilmente assimilabile seppur metaforicamente.

La trasformazione in una tragedia shakespeariana non produce come effetto un'idea possibile di progresso ed evoluzione positiva per la società messicana e per le popolazioni native soggiogate dai narcotrafficanti, né per le Istituzioni in perpetua lotta contro la corruzione, le minacce e le stragi d’innocenti perpetrate dai cartelli. D'altro canto, nella terza stagione di particolare intensità appare   l’interpretazione molto vicina all’espressività teatrale, di attori del calibro José María Yazpik e Alberto Ammann che interpreta, per l’occasione, il personaggio di Helmer "Pacho" Herrera del Cartello di Cali. Intensi i monologhi al telefono e i dialoghi tra i due, mostrano tutte le qualità artistiche e capacità interpretative di cui sono capaci. Lasciate in lingua originale, la modulazione della voce, le pause gli sguardi narrano sfumature emotive che arricchiscono di significato le poche misurate parole pronunciate dai personaggi. Il tema della morte e della caducità della vita appaiono nutriti da una rassegnazione al “destino” e al “fato” che allontanano dalla violenza, dall’aridità, dalla freddezza sociopatica dei killer al soldo dei narcotrafficanti. Sono momenti di sublime recitazione ed espressione di contenuti universali che rendono emotivamente sostenibile per lo spettatore la visione dura e indigeribile della violenza bruta priva di pensiero. L’importante è restare sempre consapevoli che si tratta di drammaturgia e racconto finzionale, che i personaggi nascono da esigenze creative dei loro ideatori e che la loro rappresentazione artistica si discosta totalmente dalla realtà. Sono personaggi di una narrazione filmica da gustarsi nelle sue molteplici sfaccettature, non modelli da imitare.

 


Titolo originale: Narcos Mexico

Paese: Stati Uniti d'America, Messico

Anno: 2018-2021

Formato: serie TV

Genere: poliziesco, drammatico, biografico

Stagioni: 3

Episodi: 30

Lingua originale: inglese, spagnolo

Musiche: Kevin Kiner, Gustavo Santaolalla

Sceneggiatori: Chris Brancato, Carlo Bernard, Doug Miro

Interpreti principali: Michael Peña, Diego Luna, Tenoch Huerta, José María Yazpik, Alejandro Edda, Lenny Jacobson, Gerardo Taracena, Julio César Cedillo, Scoot McNairy, Alfonso Dosal, Manuel Masalva, Gorka Lasaosa, Alberto Ammann, Alex Knight, Mayra Hermosillo, Luis Gerardo Méndez, Luisa Rubino, Jose Zuniga, Lorenzo Ferro.

 

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