☰  
×
eidos

Cinema e progresso

Cult

Il sorpasso

60 anni dopo. L’irruzione di Ermes

Sergio Benvenuto

“Il sorpasso” fu scoperto dal pubblico. Non accade spesso. Quando uscì, nel dicembre 1962, non ebbe un gran battage pubblicitario, la critica quasi lo ignorò. Funzionò il primitivo bocca-a-orecchio. Allora ero un ragazzo di 14 anni - dopo un po’, tutti noi studenti commentavamo “Il sorpasso”. Uno dei primi film on the road. Cinque anni prima era stato pubblicato in inglese On the road di Jack Kerouac, tre anni prima diffuso anche in Italia, e aveva avuto vasta eco, in particolare tra i più giovani. I due protagonisti, un giovane (Jean-Louis Trintignant) e uno più anziano quasi quarantenne (Vittorio Gassman) si incontrano per caso d’estate a Roma e percorreranno la costiera tirrenica e ligure a bordo di una spider Lancia Aurelia, minuscola e arrogante. Viaggiano senza una meta, improvvisando ora per ora, spinti solo dal desiderio di godere. Godere dell’estate, della velocità, del mare, delle donne, del buon cibo…

Gassman non è descritto come un truffatore, ma potrebbe esserlo. Non si capisce mai che lavoro faccia nella vita, e se lavori. Ma si intuisce che vive in una sorta di eterna vacanza. Il Leit Motiv del film è il clacson ripetuto della spider, quando sorpassa auto più piccole o più lente. Divenne, da allora, il simbolo acustico dell’Italia-Povera-Che-Si-Butta-Avanti, dell’Italia del miracolo economico, miracolata da Marshall. Purtroppo, qui non posso riprodurre quel suono. Trintignant è un ragazzo romano di buona famiglia che studia legge, Gassman invece è “l’uomo nuovo”: questo viveur disprezza la cultura umanistica, guarda al futuro, vuole vivere intensamente, e finisce col convertire l’imbranato Trintignant a quella che si chiamava “dolce vita” (il film di Fellini era uscito due anni prima). Trintignant, per quanto più giovane dell’altro, rappresentava la vecchia Italia piccolo-borghese, per la quale ottenere una laurea in legge era una vetta del successo. In apparenza, tutto ciò appare banale. Ma storici e critici vi hanno visto significati sociologici profondi. Eppure, Gassman è un personaggio inquietante. Non è certo un eroe positivo, per molti versi è anche spregevole. La sua sete di vita verrebbe etichettata oggi come ADHD, Attention Deficit Hyperactive Disorder, insomma roba da psichiatri. In effetti Gassman non riesce a fermare l’attenzione su qualcosa più di un minuto. Quest’essere centrifugo è di volta in volta sedotto dalle girandole nel mondo. Immaginiamo che questo girovago finirà male. Nessuna madre potrebbe vagheggiarlo come buon partito per la propria figlia. Eppure, oltre questa frivola fluidità, Gassman rivela un’intuizione, una velocità osservativa, che lascia di stucco l’ingenuo Trintignant. Quando questi lo presenta a casa di parenti intimi in Toscana, a Gassman bastano pochi indizi per ricostruire la storia segreta della famiglia, fatta – come ogni famiglia – di tresche amorose, figli illegittimi, ipocrisie, cadaveri nell’armadio. La sfrenata superficialità vitalista di Gassman ha un risvolto profondo: osa dire come di fatto va veramente il mondo. E apprezziamo la sua indignazione quando viene a sapere che la figlia sposerà un uomo maturo ma ricco e pieno di sé, probabilmente perché la figlia ha capito quali sono ormai le regole del successo sociale in un’Italia che si modernizza. Nel finale si vede la differenza tra il cinismo italiano e quello che chiamerei il Predicozzo americano. Gassman guida in modo spericolato sulla costiera la sua prepotente macchinetta, finché un incidente non scaraventa l’auto in mare. Gassman ha la prontezza di salvarsi per un pelo, Trintignant muore.

 

 

È un finale tragico a un film spassoso, ma la tragedia va nel senso sbagliato, ed è qui la sua genialità. Nella linea di una narrativa edificante, dovrebbe essere Gassman a morire; e magari Trintignant dopo l’ebbrezza kerouachiana sarebbe tornato ai grigi studi di giurisprudenza. Qui invece “il cattivo”, l’inaffidabile, sopravvive senza un graffio. Insomma, il film non ha una morale. Non ci insegna nulla, e questo dovette, all’epoca, impressionarci. Le significazioni psicologiche e sociologiche non bastano a fare un buon film. Le significazioni sono l’alone concettuale di qualcosa di ben più concreto: la seduzione di immagini, suoni e parole che ci pungono, come diceva Barthes. La significazione è la fasciatura morale del godimento. Ma siccome scriviamo, come mettere in parole la seduzione de Il sorpasso? Diciamo che il film ha contribuito alla conversione degli italiani a Ermes. Al dio della modernità. Il dio Ermes, il latino Mercurio, era per i Greci il dio della mobilità, del cambiamento, del diventare altro-da-sé, del moto centrifugo. Gassman è qui la personificazione di questo Messaggero alato e ladro. La sua scorribanda con Trintignant non è programmata: una spinta verso l’oltre lo sradica da ogni origine e storia. Trintignant rappresenta invece la vecchia Italia che chiamerei estiaca, da Estia, per i Greci la dea opposta ad Ermes: dea del focolare, della stabilità, della casa che non muta, della castità, dell’identità, del radicamento. L’idea di progresso è una visione ermetica. Il film racconta come il mondo moderno, sempre più orientato all’uscita fuori di sé, prevalga e “uccida” un mondo che resta in sé, che si protegge dall’esternità. La fine di Trintignant può essere vista come una morte metafisica, e come tale ci prende ai c… La presenza ermetica dell’avventuriero politicamente scorretto disfa, come per incanto, l’igloo del vecchio mondo legale e normativo.

 

 

La strada è aperta al 1968, certo… ma anche al populismo, al “ce l’ho duro” di Bossi, alla sfacciataggine di Berlusconi, agli avventurieri senza terra di Eastwood, alla revanche plebea di Trump… Il sorpasso è l’origine geniale di una nuova e popolare mediocrità. Il Sorpasso fu titolato Easy Life in America, per evocare il già famoso La dolce vita. Anni dopo Dennis Hopper si ispirò a questo titolo e a questo film per uno anch’esso cult, Easy Rider (1969). Anche qui si tratta di una pellicola on the road, solo che qui i due protagonisti sono due corrieri della droga, quindi ab initio eroi del tutto negativi. Ovviamente il film riesce a rovesciare le identificazioni morali: il nostro cuore batte per i due trafficanti, Peter Fonda e Dennis Hopper. E Jack Nicholson in un pistolotto un po’ filosofico profetizza la loro brutta fine perché rappresentano la libertà, insopportabile per l’uomo medio americano. Difatti i due eroi alla fine vengono uccisi sulla strada.

È come se nel Sorpasso morisse Gassman, non Trintignant… Ma questo finale trasformerebbe il film italiano, senza messaggio, in un apologo morale: “se esci dagli schemi morali della tua società, diventerai martire”. La punizione celeste risulta ingiusta, ma è pur sempre punizione. Il genere del road movie con finale tragico fu ripreso da Vanishing Point (1971) di Richard C. Sarafian. Qui si tratta di un ex-poliziotto che un cop in Colorado cerca di multare per eccesso di velocità: non solo non pagherà, ma si impegnerà in una folle corsa verso la California inseguito da tutte le polizie, e sfuggendo a tutte le trappole. Arrivato in California, invece di fermarsi finalmente di fronte a una barriera di bulldozer, andrà a sfracellarsi contro di essa. La corsa insensata, senza traguardo, virtualmente continua all’infinito… Anche qui, la fuga di Gassman per trascendere sé stesso viene ripresa in una spessa aureola morale: la rivolta cieca contro la legge – identificata qui con la legge minimale: il codice della strada - finisce comunque con la morte. Qualcosa di simile accade con un altro film cult, One Flew Over the Cuckoo’s Nest (1975).  Non è un road movie, anzi, si svolge tutto nel chiuso di una clinica psichiatrica; è un viaggio tra i folli. Gassman qui sembra reincarnarsi in Jack Nicholson, altro soggetto ADHD che vive momento per momento, senza secondi fini etici, e che finisce in un manicomio di pazzi veri (ammesso che lui non sia pazzo). I matti certificati sono soggetti isolati dalla vita reale, privi di ogni licenza di godere, controllati da una asettica routine medica.

Ma anche qui è “il cattivo”, Nicholson, a morire alla fine: come i due spacciatori di Easy rider, sarà “punito”. Anche quando il cinema hollywoodiano rovescia la morale corrente, resta moralista: la hybris, l’eccesso, costa cara. Non così nel film di Risi. Il buon Trintignant muore giovane, e Gassman, si suppone, continuerà a scorrazzare per l’Italia e a divertirsi. La punizione della Società (che oggi ha preso il posto di un dio severo) è posticipata sine die. La scena che mi ha impressionato di più: Gassman si fa un bagno in mare, vicino a lui c’è la sua bella figlia (che lui sotto sotto desidera…) con la quale tocca con mano la sua incapacità a essere un padre decente, normativo. Dopo il bagno, si fa una doccia gelida, e urla fremendo in uno strepito che mescola l’orrore del freddo e la gioia. L’urlo della bestia vivente al di là del Bene e del Male, animale umano che non solo gode a più non posso, ma godendo sopravvive. Mentre i saggi muoiono.

 


Titolo originale: Il Sorpasso

Paese di produzione: Italia

Anno: 1962

Regia: Dino Risi

Sceneggiatura: D. Risi, E. Scola, R. Maccari

Fotografia: A. Contini

Musiche: Riz Ortolani

Cast: V. Gassman, C. Spaak, J.L. Trintignant, C. Gora 1 Regia di Dino Risi. Sceneggiato da Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari, Rodolfo Sonego

Vedi tutto il numero





La redazione è a disposizione con gli aventi diritto con in quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nelle citazioni delle fonti dei brani o delle foto riprodotti in questa rivista.